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§ 3. — La casa e la talpa.


Ho detto troppo presto, in principio, che ho conosciuto mio padre. Non l’ho conosciuto. Avevo quattr’anni e mezzo quand’egli morì. Andato con un suo trabaccolo in Corsica, per certi negozii che vi faceva, non tornò più, ucciso da una perniciosa, in tre giorni, a trentotto anni. Lasciò tuttavia nell’agiatezza la moglie e i due figli: Mattia (che sarei io, e fui) e Roberto, maggiore di me di due anni.

Qualche vecchio del paese si compiace ancora di dare a credere che la ricchezza di mio padre (la quale pure non gli dovrebbe più dar ombra, passata com’è da un pezzo in altre mani) avesse origini — diciamo così — misteriose.

Vogliono che se la fosse procacciata giocando a carte, a Marsiglia, col capitano d’un vapore mercantile inglese, il quale, dopo aver perduto tutto il denaro che aveva seco, e non doveva esser poco, si era anche giocato un grosso carico di zolfo imbarcato nella lontana Sicilia per conto d’un negoziante di Liverpool (sanno anche questo! e il nome?), d’un negoziante di Liverpool, che aveva noleggiato il vapore; quin-