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« Ajutati, ch’io t’ajuto » ? — E s’ajuta in tutti i modi il vostro Papiano. La vita per lui è quasi un giuoco d’abilità. E come gode a cacciarsi in ogni intrigo: àlacre, intraprendente, chiacchierone!
Aveva circa quarant’anni, Papiano, ed era alto di statura e robusto di membra: un po’ calvo, con un grosso pajo di baffi brizzolati appena appena sotto il naso, un bel nasone dalle narici frementi; occhi grigi, acuti e irrequieti come le mani. Vedeva tutto e toccava tutto. Mentre, per esempio, stava a parlar con me, s’accorgeva — non so come — che Adriana, dietro a lui, stentava a pulire e a rimettere a posto qualche oggetto nella camera, e subito, assaettandosi:
— Pardon!
Correva a lei, le toglieva l’oggetto dalle mani:
— No, figliuola mia, guarda: si fa così!
E lo ripuliva lui, lo rimetteva a posto lui, e tornava a me. Oppure s’accorgeva che il fratello, il quale soffriva di convulsioni epilettiche, « s’incantava », e correva a dargli schiaffetti su le guance, biscottini sul naso:
— Scipione! Scipione!
O gli soffiava in faccia, fino a farlo rinvenire.
Chi sa quanto mi ci sarei divertito, se non avessi avuto quella maledetta coda di paglia!
Certo egli se ne accorse fin dai primi giorni, o — per lo meno — me la intravide. Cominciò un assedio fitto fitto di cerimonie, ch’eran tutte uncini per tirarmi a parlare. Mi pareva che ogni sua parola, ogni sua domanda, fosse pur la più ovvia, nascondesse un’insidia. Non avrei voluto intanto mostrar diffidenza per non accrescere i suoi sospetti; ma l’irritazione