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Innanzi all’uscio della mia camera Adriana mi strinse forte la mano, come finora non aveva mai fatto. Rimasto solo, io tenni a lungo il pugno stretto, come per serbar la pressione della mano di lei. Tutta quella notte rimasi a pensare, dibattendomi tra continue smanie. La cerimoniosa ipocrisia, la servilità insinuante e loquace, il malanimo di quell’uomo mi avrebbero certamente reso intollerabile la permanenza in quella casa, su cui egli — non c’era dubbio — voleva tiranneggiare, approfittando della dabbenaggine del suocero. Chi sa a quali arti sarebbe ricorso! Già me n’aveva dato un saggio, congiando di punto in bianco, al mio apparire. Ma perchè vedeva così di mal occhio ch’io alloggiassi in quella casa? perchè non ero io per lui un inquilino come un altro? Che gli aveva detto di me la Caporale? poteva egli sul serio esser geloso di costei? o era geloso di un’altra? Quel suo fare arrogante e sospettoso; l’aver cacciato via la Caporale per restar solo con Adriana, alla quale aveva preso a parlare con tutta violenza; la ribellione di Adriana; il non aver ella permesso ch’egli chiudesse le imposte; il turbamento ond’era presa ogni qualvolta s’accennava al cognato assente, tutto, tutto ribadiva in me il sospetto odioso ch’egli avesse qualche mira su lei.

Ebbene e perchè me n’arrovellavo io tanto? Non potevo alla fin fine andar via da quella casa, se colui anche per poco m’infastidiva? Che mi tratteneva? Niente. Ma con tenerissimo compiacimento ricordavo che ella dal terrazzino m’aveva chiamato, come per esser protetta da me, e che infine m’aveva stretto forte forte la mano....