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— Le presento, signor Meis, — disse Adriana, — mio cognato Terenzio Papiano, arrivato or ora da Napoli.
— Felicissimo! Fortunatissimo! — esclamò quegli, scoprendosi, strisciando una riverenza, e stringendomi calorosamente la mano. — Mi dispiace ch’io sia stato tutto questo tempo assente da Roma; ma son sicuro che la mia cognatina avrà saputo provvedere a tutto, è vero? Se le mancasse qualche cosa, dica, dica tutto, sa.... Se le bisognasse, per esempio, una scrivania più ampia.... o qualche altro oggetto, dica senza cerimonie.... A noi piace d’accontentare gli ospiti che ci onorano.
— Grazie, grazie, — dissi io. — Non mi manca proprio nulla. Grazie.
— Ma dovere, che c’entra! E si avvalga pure di me, sa, in tutte le sue opportunità, per quel poco che posso giovarle... Adriana, figliuola mia, tu dormivi: ritorna pure a letto, se vuoi...
— Eh, tanto, — fece Adriana, sorridendo mestamente, — ora che mi son levata...
E s’appressò al parapetto, a guardare il fiume.
Sentii ch’ella non voleva lasciarmi solo con colui. Di che temeva? Rimase lì, assorta, mentre l’altro, col cappello ancora in mano, mi parlava di Napoli, dove aveva dovuto trattenersi più tempo che non avesse preveduto, per copiare un gran numero di documenti dell’archivio privato dell’eccellentissima duchessa donna Teresa Ravaschieri Fieschi: Mamma Duchessa, come tutti la chiamavano, Mamma Carità, com’egli avrebbe voluto chiamarla: documenti di straordinario valore, che avrebbero recato nuova luce su la fine del regno delle due