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ecco, intanto, colui, là nel terrazzino, si rodeva dal dispetto. Sperai, a un certo punto, che la maestra venisse a dire che Adriana non aveva voluto levarsi. Ma no: eccola!

Papiano le andò subito incontro.

— Lei vada a letto! — intimò alla signorina Caporale. — Mi lasci parlare con mia cognata.

Quella ubbidì, e allora Papiano fece per chiudere le imposte tra la sala da pranzo e il terrazzino.

— Nient’affatto! — disse Adriana, tendendo un braccio contro l’imposta.

— Ma io ho da parlarti! — inveì il cognato, con fosca maniera, sforzandosi di parlar basso.

— Parla così! Che vuoi dirmi? — riprese Adriana. — Avresti potuto aspettare fino a domani.

— No! ora! — ribattè quegli, afferrandole un braccio e attirandola a sè.

— Insomma! — gridò Adriana, svincolandosi fieramente.

Non mi potei più reggere: aprii la persiana.

— Oh! signor Meis! — chiamò ella subito. — Vuol venire un po’ qua, se non le dispiace?

— Eccomi, signorina! — m’affrettai a rispondere.

Il cuore mi balzò in petto dalla gioja, dalla riconoscenza: d’un salto, fui nel corridojo: ma lì, presso l’uscio della mia camera, trovai quasi asserpolato su un baule un giovane smilzo, biondissimo, dal volto lungo lungo, diafano, che apriva a malapena un pajo d’occhi azzurri, languidi, attoniti: m’arrestai un momento, sorpreso, a guardarlo; pensai che fosse il fratello di Papiano; corsi al terrazzino.