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— Va’ a svegliarla! subito!

Non so come mi trattenni dallo spalancar di furia la persiana.

Lo sforzo che feci per impormi quel freno, mi richiamò intanto in me stesso, per un momento le medesime parole, che aveva or ora proferite con tanta esasperazione quella povera donna, mi vennero alle labbra: « Chi sono io? che rappresento io in questa casa? ».

Mi ritrassi dalla finestra. Subito però mi sovvenne la scusa che io ero pure in ballo lì: parlavano di me, quei due, e quell’uomo voleva ancora parlarne con Adriana: dovevo sapere, conoscere i sentimenti di colui a mio riguardo.

La facilità però con cui accolsi questa scusa per la indelicatezza che commettevo spiando e origliando così nascosto, mi fece sentire, intravedere ch’io ponevo innanzi il mio proprio interesse per impedirmi di assumer coscienza di quello ben più vivo che un’altra mi destava in quel momento.

Tornai a guardare attraverso le stecche della persiana.

La Caporale non era più nel terrazzino. L’altro, rimasto solo, s’era messo a guardare il fiume, appoggiato con tutti e due i gomiti sul parapetto e la testa tra le mani.

In preda a un’ansia smaniosa, attesi, curvo, stringendomi forte con le mani i ginocchi, che Adriana si facesse al terrazzino. La lunga attesa non mi stancò affatto, anzi mi sollevò man mano, mi procurò una viva e crescente soddisfazione: supposi che Adriana, di là, non volesse arrendersi alla prepotenza di quel villano. Forse la Caporale la pregava a mani giunte. Ed