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nulla, io. Ho avuto questa impressione, e basta.

— Che fossi vedovo?

— Sissignore. Non pare anche a te, Adriana, che ne abbia l’aria, il signor Meis?

Adriana si provò ad alzar gli occhi su me, ma li riabbassò subito, non sapendo — timida com’era — sostenere lo sguardo altrui; sorrise lievemente del suo solito sorriso dolce e mesto, e disse:

— Che vuoi che sappia io dell’aria dei vedovi? Sei curiosa!

Un pensiero, un’immagine dovette balenarle in quel punto alla mente; si turbò, e si volse a guardare il fiume sottostante. Certo quell’altra comprese, perchè sospirò e si volse anche lei a guardare il fiume.

Un quarto, invisibile, era venuto evidentemente a cacciarsi tra noi. Compresi alla fine anch’io, guardando la veste da camera di mezzo lutto di Adriana, e argomentai che Terenzio Papiano, il cognato che si trovava ancora a Napoli, non doveva aver l’aria del vedovo compunto, e che, per conseguenza, quest’aria, secondo la signorina Caporale, la avevo io.

Confesso che provai gusto che quella conversazione finisse così male. Il dolore cagionato ad Adriana col ricordo della sorella morta e di Papiano vedovo, era infatti per la Caporale il castigo della sua indiscrezione.

Se non che, volendo esser giusti, questa che pareva a me indiscrezione, non era in fondo naturale curiosità scusabilissima, in quanto che per forza doveva nascere da quella specie di silenzio strano ch’era attorno alla mia persona? E giacchè la solitudine mi riusciva ormai