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un po’ il labbro tra i denti. Per farle piacere, allora, le parlai anch’io con gravità:
— E... scusi, signorina: non ci sono bambini, è vero, in casa?
Scosse il capo senza aprir bocca. Forse nella mia domanda sentì ancora un sapor d’ironia, ch’io però non avevo voluto metterci. Avevo detto bambini e non bambine. Mi affrettai a riparare un’altra volta.
— E... dica, signorina: loro non affittano altre camere, è vero?
— Questa è la migliore, — mi rispose, senza guardarmi. — Se non le accomoda...
— No no... Domandavo per sapere se...
— Ne affittiamo un’altra, — disse allora ella, alzando gli occhi con aria d’indifferenza forzata. — Di là, posta sul davanti... su la via. È occupata da una signorina che sta con noi ormai da due anni: dà lezioni di pianoforte... non in casa.
Accennò, così dicendo, un sorriso lieve lieve, e mesto. Aggiunse:
— Siamo io, il babbo e mio cognato...
— Paleari?
— No: Paleari è il babbo; mio cognato si chiama Terenzio Papiano... Deve però andar via, col fratello che per ora sta anche lui qua con noi. Mia sorella è morta... da sei mesi.
Per cangiar discorso, le domandai che pigione avrei dovuto pagare; ci accordammo subito; le domandai anche se bisognava lasciare una caparra.
— Faccia lei, — mi rispose. — Se vuole piuttosto lasciare il nome...
Mi tastai in petto, sorridendo nervosamente, e dissi: