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Or come poteva avvenire per me tutto questo in una camera d’albergo?

Ma una casa, una casa mia, tutta mia, avrei potuto averla io più? I miei denari erano pochini... Ma una casettina modesta, di poche stanze? Piano: bisognava vedere, considerar bene prima, tante cose. Certo, libero, liberissimo, io potevo essere soltanto così, con la valigia in mano: oggi qua, domani là. Fermo in un luogo, proprietario d’una casa, eh, allora: registri e tasse subito! E non mi avrebbero iscritto all’anagrafe? Ma sicuramente! E come? con un nome falso? E allora, chi sa?, forse indagini segrete intorno a me da parte della polizia... Insomma, impicci, imbrogli!... No, via: prevedevo di non poter più avere una casa mia, oggetti miei. Ma mi sarei allogato a pensione in qualche famiglia, in una camera mobiliata. Dovevo affliggermi per così poco?

L’inverno, l’inverno m’ispirava queste riflessioni malinconiche, La prossima festa di Natale che fa desiderare il tepore d’un cantuccio caro, il raccoglimento, l’intimità della casa.

Non avevo certo da rimpiangere quella di casa mia. L’altra, più antica, della casa paterna, l’unica ch’io potessi ricordare con rimpianto, era già distrutta da un pezzo, e non da quel mio nuovo stato. Sicchè dunque dovevo contentarmi, pensando che davvero non sarei stato più lieto, se avessi passato a Miragno, tra mia moglie e mia suocera — (rabbrividivo!) — quella festa di Natale.

Per ridere, per distrarmi, m’immaginavo intanto, con un buon panettone sotto il braccio, innanzi alla porta di casa mia.

« — Permesso? Stanno ancora qua le signore