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Giunsi al paese, senza averne fissato alcuno. Fortunatamente, là, dal farmacista, ch’era anche ufficiale telegrafico e postale, droghiere, cartolajo, giornalajo, bestia e non so che altro, non ce ne fu bisogno. Comprai una copia dei pochi giornali che gli arrivavano: giornali di Genova: Il Caffaro e Il Secolo XIX; gli domandai poi se potevo avere Il Foglietto di Miragno.

Aveva una faccia da civetta questo Grottanelli, con un pajo d’occhi tondi tondi, come di vetro, su cui abbassava, di tratto in tratto, quasi con pena, certe palpebre cartilaginose.

Il Foglietto? Non lo conosco.

— È un giornaluccio di provincia, settimanale, — gli spiegai. — Vorrei averlo. Il numero d’oggi, s’intende.

Il Foglietto? Non lo conosco, — badava a ripetere.

— E va bene! Non importa che lei non lo conosca: io le pago le spese per un vaglia telegrafico alla redazione. Ne vorrei avere dieci, venti copie, domani o al più presto. Si può?

Non rispondeva: con gli occhi fissi, senza sguardo, ripeteva ancora: « Il Foglietto?... Non lo conosco ». Finalmente si risolse a fare il vaglia telegrafico sotto la mia dettatura, indicando per il recapito la sua farmacia.

E il giorno appresso, dopo una notte insonne, sconvolta da un tempestoso mareggiamento di pensieri, là, nella Locanda del Palmentino, ricevetti quindici copie del Foglietto.

Nei due giornali di Genova che, appena rimasto solo, m’ero affrettato a leggere, non avevo trovato alcun cenno. Mi tremavano le mani nello spiegare Il Foglietto. In prima pagina, nulla. Cercai nelle due interne, e subito mi saltò