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Enrico IV | 113 |
Enrico IV.
Ecco, un po’ di luce. Sedete, lì attorno alla tavola. Ma non così! In belli e sciolti atteggiamenti.... (Ad Arialdo) Ecco, tu così... (lo atteggia, poi a Bertoldo) E tu così.... (lo atteggia). Così ecco.... (Va a sedere incontro a loro). E io, qua.... (Volgendo il capo verso una delle finestre). Si dovrebbe poter comandare alla luna un bel raggio decorativo.... Giova, a noi, giova, la luna. Io per me, ne sento il bisogno, e mi ci perdo spesso a guardarla dalla mia finestra. Chi può credere, a guardarla, che lo sappia che ottocent’anni siano passati e che io, seduto alla finestra non possa essere davvero Enrico IV che guarda la luna, come un pover uomo qualunque? Per sfuggire, così, fuori, dico, a questo sentimento di deserto che è qui, dove la pazzia ha abitato; dove farneticare è spontaneo, cosa d’abitudine e seria, che ha diritto — un diritto perfettamente logico — di essere come una qualunque altra realtà, di cui non si sia ancora scoperto l’inganno. Ma guardate, guardate che magnifico quadro notturno: l’Imperatore tra i suoi fidi consiglieri.... Non ci provate gusto?
Landolfo
(piano ad Arialdo, come per non rompere l’incanto).
Eh, capisci? A saperlo che non era vero....
Enrico IV.
Vero, che cosa?
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