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104 | Luigi Pirandello |
io penso, Monsignore, che i fantasmi, in generale, non siano altro in fondo che piccole scombinazioni dello spirito: immagini che non si riesce a contenere nei regni del sonno: si scoprono anche nella veglia, di giorno; e fanno paura. Io ho sempre tanta paura, quando di notte me le vedo davanti — tante immagini scompigliate, che ridono, smontate da cavallo. — Ho paura talvolta anche del mio sangue che pulsa; nelle arterie come, nel silenzio della notte, un tonfo cupo di passi in stanze lontane.... Basta, vi ho trattenuto anche troppo qui in piedi. Vi ossequio, Madonna; e vi riverisco. Monsignore.
(Davanti alla soglia della comune, fin dove li ha accompagnati, li licenza, ricevendone l’inchino. Donna Matilde e il Dottore, via. Egli richiude la porta e si volta subito, cangiato).
Buffoni! Buffoni! Buffoni! — Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde.... E quell’altro là: Pietro Damiani. — Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! — S’è spaventato di ricomparirmi davanti! (Dirà questo con gaja prorompente frenesia, movendo di qua, di là i passi, gli occhi, finchè all’improvviso non vede Bertoldo, più che sbalordito, impaurito del repentino cambiamento. Gli si arresta davanti e additandolo ai tre compagni anch’essi come smarriti nello sbalordimento): Ma guardatemi quest’imbecille qua, ora, che sta a mirarmi a bocca aperta.... (Lo scrolla per le spalle) Non capisci? Non vedi come li paro, come li concio, come me li faccio comparire davanti, buffoni spaventati! E si spaven-