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AI CORTESI LETTORI
Poichè l’esperienza ha dimostrato l’assoluta impossibilità di abolire i dialetti, attalchè laddove per un vero miracolo oggi pure si parlasse la Lingua italiana in tutta la Penisola, non volgerebbero molti anni, che qua e là essa verrebbe a degenerare in diversi vernacoli, ragion vuole che i medesimi per lo meno vengano assoggettati a certe regole grammaticali che ne frenino l’incostanza e li rendano meglio intelligibili a chi ne vuol prendere conoscenza.
Del resto poi, a difesa di questi dialetti dirò, che essi non debbono mica disprezzarsi come usa un qualche troppo severo Aristarco, poichè hanno, perloppiù, una naturalezza ed un brio che li rendono di frequente assai graditi; nè senza di loro risuonerebbero sulle labbra dei gondolieri Veneziani le graziose canzonette del Buratti; nè i Milanesi potrebbero vantare le briose rime del Porta; nè il Brofferio avrebbe saputo elettrizzare i suoi concittadini coi versi satirici e patriotici, che pur giovarono assai a fecondare i germi della indipendenza nazionale1.
- ↑ Oltre i citati sono a ricordarsi il Tommaso Grossi a Milano, il Regina a Genova, il Basile ed il Genoino a Napoli, il Meli in Sicilia, lo Stanzani e il Croce a Bologna, il Calvo, Norberto Rosa e Luigi Pietracqua a Torino, e molti altri cui sarebbe troppo lungo registrare.