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dopo tante altre ragioni, l’idea stessa, ch’io me ne formo sentendomene capace, e quella progressione indefinita nei successivi gradi di perfettibilità del mio essere, a cui idoneo mi trovo per progresso di cognizione in cognizione, che nella mia scienza, più che altrove, mi si rende manifesto; dunque una felicità eterna è un bene, al quale non è presunzione aspirare: una disgrazia eterna è un male sì spaventoso ed orrendo, che il solo pensiero fa fremere, e opprime l’intendimento. Nella vivacità di queste riflessioni quali stimoli ad operare, e vivere rettamente!

Svanisce il finito rimpetto all’infinito: se pertanto io mi ritrovo d’aver alcune cognizioni più di colui, che conduce sul campo l’aratro, potrei io mai insuperbirmi, o disprezzar quel mio simile, quasi fosse un automa? quando tutta la mia scienza si perde, più che una gocciola nell’oceano, rimpetto a ciò che ambedue insieme ignoriamo? Svanisce il finito rimpetto all’infinito; dunque le virtù dirette ad onorare l’Essere infinito, i vizi, che tendono ad oltraggiarlo, avranno premii e pene, che non possono essere finiti, perchè se tali fossero, sarebbero come nulli; così l’eternità, applicata a questi premii e a queste pene, non è già un dogma, che sconvolge la mia ragione, ma che