io, che venero la sagra sapienza di coloro, che ci sono maestri nelle vie dello spirito, fo plauso volontieri a quei salutari avvertimenti, ch’essi ne danno, onde di pii esercizi frammischiamo i nostri studi, per non lasciare ir lungi il pensiero da Lui, che ne deve essere il primo oggetto sublime, e poter tratto tratto presentargli in ossequio l’affetto del cuore, e la sommission della mente. Nondimeno dirò, che quel sapientissimo e provido consiglio, il quale ha voluto, che talora si vedessero frutti dolcissimi nati in mezzo a rami spinosi, ed acque pure e salubri sgorganti da durissime rupi, può far sì, che anche non allontanandoci dagli oggetti di nostra giornaliera applicazione, questi stessi a noi forniscano edificanti pensieri, che ci parlino utilmente dell’essere nostro, di Dio, della Religione, e de’ nostri privati e sociali doveri. Io bramerei di poter espandere l’anima mia, e a lungo trattenermi in un così soave argomento. Vasto è il campo da percorrersi, nè conviene il farlo fugacemente, però in una sola sua parte m’indirizzerò per questa volta; riserbandomi a migliore occasione le matematiche applicate, mi occuperò presentemente delle pure ed astratte: campo, che universalmente si crede il più sterile ed ingrato, e il meno atto ad essere irrorato da celeste rugiada.