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profondo potrebbe, se io ben m’avviso, giugnere ad un pieno trionfo.
Primieramente egli è assai manifesto (Vedi Ruffini. Rif. Crit. pag. 48 n. 6), che non è possibile introdurre l’analisi dove non si può dapprima introdurre il numero, essendo questo l’elemento, di cui essa essenzialmente si forma. Ora nelle cose morali si può bensì aver idea di un maggiore, e di un minore, ma non mai di un multiplo, e di un summultiplo: riesce ridevole il solo progetto di stabilire l’unità da ripetersi nelle cose, che si avrebbero a misurare; e tra le molte ragioni, che persuadono tale impossibilità, basti quella di non poter ravvisare l’omogeneità perfetta, che pure è necessaria in ogni rapporto tra l’unità, che misura, e la quantità, che è misurata (Vedi opera cit., pag. 110, n. 1; pag. 120, n. 8.).
Quest’obbiezione si fa sentire con tanta forza, che gli avversari non possono a meno di convenire nel sostanziale: ma però ripigliano, che si può supporre di conoscere almeno per approssimazione sì fatti numeri. Nondimeno una tale ritirata non vale ad essi di scampo, perchè è noto tra’ Matematici, che per fare buon uso delle quantità approssimate, bisogna aver delle vere almeno quella cognizione, che basta ad assicurarci essere sprez-