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rapito sgraziatamente, se attenti non vegliamo a custodirlo, intendo la Religione. Esso ci è insidiato, specialmente a dì nostri, con grande malvagità, con grande astuzia, e credimi che una gran parte di queste insidie è tesa in quegli stessi libri a cui noi andiamo ad attingere le umane scienze. Io perciò, nello stesso tempo che ti fo animo ad inoltrarti in quel sublime studio, t’esorto a vegliare e star bene in guardia per ogni assalto, che in esso ti possa venire contro quella fede, la quale intima al saggio del pari che all’ignorante: umiliati, e adora.

Sono però ben lontano dal credere e dal dire, che lo studio delle matematiche possa per se stesso nuocere alla religione; gran torto mi parrebbe di fare ad una scienza figlia della ragione, se la credessi in guerra con Quello, che vibrò nell’umana mente un lampo del suo volto divino; e gran torto a quella religione medesima, la quale non teme l’esame di un retto filosofo, in cui taciano le passioni. I fonti dell’incredulità sono la corruzione del cuore, e l’orgoglio della mente; del primo non può cadere sospetto, servendo anzi moltissimo le matematiche a distaccar dal sensibile, col fissarci in oggetti intellettuali ed astratti; potrebbe non essere irragionevole un sospetto sopra il secondo. Infatti un giovine, che sente il sodo delle cogni-