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Nel nome di Gesù e di san Paolo, nel nome di tutti i combattenti per la causa del Vero e della Giustizia, persisteremo. Accompagnino la vergogna e il rimorso colui che per povertà, delusioni o persecuzione infiacchisse. La nostra è causa di Dio. Le mura, le pietre di Roma possono per poco, e per violenza d’armi straniere, esser vostre; ma l’anima di Roma è con noi. Nostro è il pensiero di Roma. Arca santa della nostra fede e semenza d’un avvenire infallibile, noi lo portiamo e lo serberemo incontaminato con noi nell’esilio, come i primi cristiani portavano il pensiero, or tradito da voi, di Gesù, nelle catacombe e nelle prigioni, finché rifulga da Roma al mondo, incoronato della luce d’una vittoria che né le vostre Encicliche, né le profane armi invocate da voi possono lungamente contendergli. La religione non è più nel vostro campo, è nel nostro. Per voi, per la guerra senza speranza che voi suscitate al pensiero di Dio, e per la colpevole inerzia d’uomini che s’intitolano sacerdoti e non adempiono a un solo dovere del sacerdozio, il mondo, dato alle tenebre del dubbio e dell’odio, travia in oggi dietro a sistemi fallaci, pur più potenti che non la vostra parola, perché vagheggiano l’avvenire, mentre voi tentate incatenare l’Umanità che l’alito divino sospinge, al cadavere d’un passato spento per sempre.


V.


Sacerdoti italiani, questo nostro è discorso grave: per quanto v’è cara la salute del mondo e delle credenze, ascoltateci. Noi potremmo — un de’ vostri1 lo ha detto, e vi sia pegno dell’animo con che vi parliamo — vincere senza voi; ma nol vorremmo: non ci siete fratelli? non nasceste voi pure in questa terra italiana che noi cerchiamo far santa d’amore e di fede? Non siete figli di questo popolo nudrito oggi d’ira e di diffidenza, e che

  1. Il padre Ventura.