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445E bei fatti ciascun traea del capo,
E ne ordian lor novelle. Al Tebro in riva
Ecco d’Unni e Roman sì orrenda zuffa,
Che d’ambo i campi rimanean già pochi;
E sorger ecco i guerrier morti a un tratto,
450E rovinar l’un contra l’altro, e ancora
Mescer le redivive armi, e una morte,
Di notte ancor, dare o incontrar seconda.
Tal la corrotta tabe, e il sangue negro
De’ corpi, onde fu pria gravato il campo,
455Bruttò quell’aure, che lor grembo pieno
Han sempre de i vapor del padre Tebro.
Nè t’increbbe, almo Sole, nè t’increbbe
Il diro uffizio, o pia del Sol Germana?1

  1. Così Damascio presso Fozio nella vita d’Isidoro: “Venutosi all’armi innanzi alle mura di Roma contra gli Sciti, condotti da Attila contra Valentiniano, che in Roma dopo Onorio imperava, tanta dall’una parte e dall’altra fu strage commessa, che niuno sopravvisse de’ combattenti, fuori i Capitani ed alcuni Sergenti loro. E ciò veramente è la più incredibile a narrarsi di tutte le cose: perchè sendo caduti i combattenti, spossati nelle membra, d’animo ancora elevato, pugnarono tre notti intere e tre giorni, per nulla ai vivi battagliando inferiori, né quanto alle mani, nè quanto all’animo. Furono dunque vedute e udite immagini di spiriti che pugnavano ec.” Bibliot. l. c.