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Una tenera figlia, e tal, che s’era
Del buon Zeusi a l’età, sola fra tutte
Fanciulle Calabresi avria bastato.
Io la vidi, e nel cor sì dolce un moto
45Sorse, che ricordar gli feo del tempo
De’ nostri amor, Temira, e nel suo volto
L’antico io ravvisai poter del tuo.
Vidila, e tacqui; e il periglioso ospizio
D’un motto non offesi, e non d’un guardo.
50Tolte le mense, e giù dal ciel la notte
Precipitando , a spiar l’aure uscimmo,
E l’uom cortese: o ch’io m’inganno, o pago
Sarà tosto il desìo. Ma la Fanciulla
Gìa con la Madre a ritrovar le piume,
55E parve il ciel più brun, l’aura men cheta.
Intanto io era ad un balcon col Padre
Del parlar vario a i cadenti occhi inganno
Facendo; e in me, ver la sorgente Aurora,
Tu se’ desta, io dicea, ma qui, nè il sai,
60Qui più bella di te dorme un’Aurora.
E già nato era il Sol: quand’ecco in fretta
Donne e fanciulli, ogni uom correre al mare
Veggio, e gridar Morgana odo, Morgana,
E Morgana iterar gli scogli e l’onde.
65Precipitiam le scale, e in erto loco
Su l’orme del mio duce i passi affretto.
Qui l’alto a gli occhi miei prodigio nuovo
S’offerse: fiato non movea di vento,