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Leggi Romane. 91

finite secondo la varietà de’ tempi, de’ luoghi, delle favelle, e delle persone. Bisogna essere non poco, ma oltre modo scimunito, e goffo per non sapere, che intorno a cose puramente conghietturali non si può fissare con sicurezza decisione veruna: poichè veggiamo rarissime volte accadere, che in casi particolari, e nelle cose più minute della vita umana un uomo pensi come l’altro; e che i contratti, e le altre disposizioni si facciano dagli uni colle medesime idee, coi medesimi fini, e colle medesime espressioni, che vengono fatte dagli altri. Chi non vede adunque, che in cose tali non si può stabilire niente di certo, di costante, e che abbia da servire di norma per tutti gli uomini, in tutti i tempi, ed in tutti i luoghi? Le volontà degli uomini conviene interpretarle non a capriccio del Legislatore, ma secondo la mente di chi dispone. E se anche il Legislatore volesse, che tutti i sudditi suoi agissero, pensassero, e s’esprimessero a modo suo, non sarebbe tuttavia possibile, ch’egli potesse colle sue Leggi dar norma neppure ad una menoma parte di quelle infinite cose, che dipendono dalla mera volontà umana. Contuttociò i nostri Compilatori hanno voluto inserire nel Corpo del Giure una prodigiosa quantità di Leggi sì fatte, che solamente quistioni conghietturali riguardano. Il che par da loro essere stato fatto propriamente ad intendimento di moltiplicare nel foro le liti, e di conservarle perpetuamente: nè ad altro potranno servire giammai Leggi cotali; poichè certo è quel che cantò Persio:

Mille hominum species, et rerum discolor usus;

Velle suum cuique est, nec voto vivitur uno.


IX.