una cosa troppo perniciosa alle Repubbliche:
poichè da questa nasce, che i cittadini le debbano
necessariamente ignorare, se pur non vogliono
spenderci dietro tutto il tempo della vita loro, e
trascurare ogni altra premurosa bisogna, senza
essere ancora ben sicuri che quando saranno con
fatica giunti ad avere a memoria le Leggi poste
verso la fine, non vengano intanto a dimenticarsi di quelle,
che al principio, e nel mezzo furon
collocate. La troppo gran copia dee naturalmente
partorire una indicibil confusione nelle teste di
chi le va studiando: essa dee cagionare una
incertezza generale rispetto alle cose della giustizia,
poichè in un gran numero di Leggi impossibile
è il fare sì, che i sudditi possano ben conoscere
quale a questo e quale all’altro caso applicare si
debba: Finalmente essa deve produrre infiniti
timori, e scrupoli ne’ cittadini, i quali per non
potersi proccurare una sufficiente notizia di tante
leggi, non possono essere sicuri giammai di
operare a norma di esse. A che uopo adunque far
tante Leggi, se queste non servono ad altro, che
ad imbrogliare i sudditi, e ad arrichire i
giudici, e gli avvocati? Quando una Repubblica ha
molte Leggi, egli è infallibile, che vi sono
ancora molte liti; e che il denaro de’ sudditi in
vece di essere impiegato nell’agricultura, nel
commerzio, ed in altre cose vantaggiose alla società,
va a collare nelle borse di cento fanfaroni, o
stupidissimi poltroni. Apud quos plurimæ leges, dice
Platone, ibi et lites, itemque mores improbi. E
la sperienza ce l’ha fatto finora troppo ben vedere,
perchè niuno possa con ragione disputarci
contro giammai.