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Leggi Romane. 77

auctores, dice Antonio Mattei1 odiosas, ac inertes rationes invenias, quæ vel dumtaxat ad ornatum spectent, vel bis idem inculcent, vel a sententia proposita penitus alienæ videantur, denique tales sint, ut non immerito rationem in ratione desideres. Chi lo crederebbe, che una legge ci fosse, nella quale stabilito sia, che niun cieco possa servire in giudizio da procuratore, per questa bella ragione, che un tale non è in istato di vedere gli ornamenti del Tribunale? Eppur essa ci è,2 e di queste ce ne sono assai. Dal che nasce poi, che i Cittadini in vece di rispettare Leggi si fatte, le tengono a vile, le dispregiano, e niuno scrupolo si fanno di schernirne le decisioni con apportare dal canto loro ragioni più apparenti, e più forti, od almeno più adattate al caso. Poichè quando il Legislatore si contenti di comandare solamente, facile cosa è ch’egli venga ubbidito: ma quando egli procede più oltre, e cerchi eziandio di dogmatizare, e persuadere con ragioni; e che in questo punto troppo debile, e poco assennato si mostri, allora in luogo di riscuoter rispetto, le sue leggi vengono derise, e vilipese. Eccone l’esempio. Nella Legge 1. §. 41. D. Depositi viene proposto il seguente caso. Si cista signata deposita sit, utrum cista tantum petatur, an et species comprehendendæ sint? Labeone, ed Ulpiano decidono la quistione nella seguente maniera. Labeo autem ait, qui cistam deponit, singulas quoque res videri depone-

  1. Collegia Jur. Disp. 10. adde Radulph. Forner. lib. 3. Rer. Quotid. cap. 23. Connan. Lib. 3. Comm. cap. 6. n. 4. Donell. Lib. 14. cap. 17. Schilter Prax. Jur. Rom. Exerc. 38. §. 162.
  2. L. 1. de Postulando

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