auctores, dice Antonio Mattei1 odiosas, ac inertes
rationes invenias, quæ vel dumtaxat ad ornatum
spectent, vel bis idem inculcent, vel a sententia
proposita penitus alienæ videantur, denique tales sint,
ut non immerito rationem in ratione desideres. Chi
lo crederebbe, che una legge ci fosse, nella
quale stabilito sia, che niun cieco possa servire in
giudizio da procuratore, per questa bella ragione,
che un tale non è in istato di vedere gli ornamenti
del Tribunale? Eppur essa ci è,2 e
di queste ce ne sono assai. Dal che nasce poi,
che i Cittadini in vece di rispettare Leggi si fatte,
le tengono a vile, le dispregiano, e niuno
scrupolo si fanno di schernirne le decisioni con
apportare dal canto loro ragioni più apparenti, e
più forti, od almeno più adattate al caso. Poichè
quando il Legislatore si contenti di comandare
solamente, facile cosa è ch’egli venga ubbidito: ma
quando egli procede più oltre, e cerchi eziandio
di dogmatizare, e persuadere con ragioni; e che
in questo punto troppo debile, e poco assennato si
mostri, allora in luogo di riscuoter rispetto, le
sue leggi vengono derise, e vilipese. Eccone
l’esempio. Nella Legge 1. §. 41. D. Depositi viene
proposto il seguente caso. Si cista signata deposita sit,
utrum cista tantum petatur, an et species comprehendendæ
sint? Labeone, ed Ulpiano decidono la
quistione nella seguente maniera. Labeo autem ait,
qui cistam deponit, singulas quoque res videri depone-
- ↑ Collegia Jur. Disp. 10. adde Radulph. Forner. lib. 3. Rer. Quotid. cap. 23. Connan. Lib. 3. Comm. cap. 6. n. 4. Donell. Lib. 14. cap. 17. Schilter Prax. Jur. Rom. Exerc. 38. §. 162.
- ↑ L. 1. de Postulando