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Leggi Romane. 73

no necessariamente intervenire.1 Così pure l’obbligo di dover fare il testamento da se medesimo senza potersi servire di verun procuratore, il quale a nome del testatore palesi a’ testimonj la di lui volontà in iscritto, come ancora l’indispensabile necessità di dover cominciare, e finire il testamento senza interruzione veruna, e di dover apertamente pregare i testimonj, perchè vi vogliano essere presenti, e non meno la proibizione di non potere adoperar per testimonj le donne; queste, ed altre si fatte cose, dico, non altronde, che da quell’antico rito della mancipazione traggono la origine loro.2 Altro parimente, che prette sottigliezze inutili degli antichi Romani non sono quelle loro massime, e regole fondamentali, che niuno possa morire pro parte testatus, et pro parte intestatus: che l’erede, ed il defonto sia una persona istessa: che quello sia però tenuto a pagare del proprio i debiti di questo, quando i beni ereditarj, a tale uopo non bastino: che niuno possa dichiararsi erede per mezzo d’un procuratore, che il testatore non possa comandare all’erede, che abbracci l’eredità solamente dopo qualche tempo; o che abbraciatala ritenere la possa fino ad un certo tempo soltanto: che non sussistano, nè possano aver veruno effetto i patti di futura successione: che il padre non possa dar licenza al figlio di fare testamento intorno ai beni, che sono proprj dell’istesso figlio, e che come un peculio avventizio ordina-

  1. Treckel loc. cit. §. 45.
  2. Idem ibi. §. 18. 32. 56.

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