colle loro furberie, ed invenzioni reso
malagevole l’uso delle Leggi, ma diedero ancora di
mano a ritrovare, e mettere in opera delle frodi
affine di snervare, e scansare le disposizioni
delle Leggi. Così essendosi per cagione d’esempio,
o per qualche Legge, o per una costumanza
antica nella Romana Repubblica sempre praticato,
che tutte le donne per debolezza del loro
intendimento vivessero sotto la potestà de’ tutori,
ritrovaron costoro una specie di tutori, che
fossero alle potestà delle donne sottoposti.1
Finalmente in tutta la ragion civile, secondo che Cicerone
ha loro giustamente rimproverato,
l’equità lasciarono, e s’attaccarono solamente alle
parole delle Leggi: come per via di esempio, dice
l’istesso Oratore2 perchè ne’ libri di alcuno
trovato avean quel nome, di Caja, stimarono, che
tutte le donne, le quali facessero scambievole compera,
si chiamassero Caje. A me poi suol pur parere strana
cosa, che tanti uomini sì ingnegnosi, per lo spazio
di tanti anni non abbiano per anco potuto determinare,
se si convenga dire il giorno terzo, o il
perendino; il giudice, o l’arbitro; la cosa, o la lite?
Lo stesso Cicerone va nel suo Libro dell’Oratore,
ed in parecchj altri trattati ancora ampiamente,
e con addurre di molti esempj, dimostrando,
come il costume più ordinario degli antichi
Legisti di Roma si era di stare solamente stretti
alle parole delle Leggi, e di non curarsi niente
affatto della giustizia, dell’equità, e della ragio-
- ↑ Cicero pro Muræna cap. 12.
- ↑ Idem ibi.