te degli antichi Giureconsulti Romani intorno
alle Leggi delle dodici tavole. L’ambizione,
l’interesse, e l’ostinatezza di voler stare attaccati
alle parole della Legge li condussero ad inventare,
e porre in uso un infinito numero di sottili
interpretazioni, di formalità di parole, e di
principj stravaganti, e storti. Primieramente Essi
ritrovarono, i Fasti, le formole legali, e le cifre
a intendimento di tenere celata alla plebe la
loro Giurisprudenza, e di obbligare per questa
maniera tutto il popolo Romano a servirsi di essi
in tutti i più importanti affari.1
Le Leggi civili furono adunque allora con
tante sottigliezze, e con tante formalità imbrogliate,
e ad un’ora tutte queste ciance, e furberie
venivano con tanta segretezza occultate, che chi
non era nell’ordine di coloro, a’ quali la scienza
legale poteva esser palese, non sapeva nè in
quai giorni fosse lecito di comparire nel foro;
nè in che maniera, o con quali parole convenisse
proporre la sua azione in giudizio, nè che altre
cose vi fossero da osservare: perciocchè per
avere la notizia di tutto questo, e per potersi ne’
casi occorrenti regolare secondo il bisogno, era
necessario che ogni volta si ricorresse ad un
giurisconsulto, val a dire a qualcuno de’ patrizj, i
quali questi arcani con gelosia custoditi tenevano.2
E quello, che rende questo malizioso,
ed ingiusto procedere ancora più insoffribile, si
- ↑ V. La Legge 2. D. de O. 9. §. 6. et 7. Il Cujacio, il Ruperto, il Bynkershokio, il Muelen, ed altri ne’ loro comenti a quelle. L’Eineccio de Orig. Jur.
- ↑ Liv. Lib. 9. Dec. I. ed i sopraccitati.