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no, e che danno gran pena agli espositori, come coll’esempio della L. 8. D. qui, et a quibus manum. Lib. non fiant, della L. 8. D, de V. O. e di diverse altre han fatto vedere tanto l’incomparabile Cujacio,1 quanto diversi altri sommi Giuristi.2 Un altro non picciolo male si è, che gli stessi antichi Giureconsulti Romani, dalle opere de’ quali furon cavate le Leggi, hanno sovente errato nel metter giù i loro pensieri, ponendo per inavvertenza una parola per l’altra, con che sono venuti a rovinare non solamente il senso, ma sinpure i diversi principj da essi medesimi in altri luoghi stabiliti; e però quì l’imbroglio è grande, perchè cagionato dall’istesso autore della Legge; e l’interprete, che scuopre l’errore, rimane nel dubbio, s’egli abbia da intraprendere la correzzione del testo, o rimanersene per un tal quale rispetto, oppure risolvendosi ancora a voler levarne il male, non sa bene, che medicina applicarvi. All’incontro un interprete meno avveduto, e circospetto si lascia anch’egli tirare nell’errore, e vien però a piantare contrarie, ed incoerenti dottrine, o si troverà necessitato di fingere inette, o false distinzioni, e limitazioni, per la qual cagione mille, e mille altre persone poi imbevono le stesse false sentenze. Veggansi gli esempj de’ testi per questa maniera corrotti, e delle pessime conseguenze, che sì nell’interpretazione, come nell’applicazione di quelli sono

  1. Lib. I. cap. 22. lib. 4. cap. 31. Observ. et in Not. ad Instit. lib. I. tit. 6.
  2. Audulp. Forner. lib. 3. rer. quotidin. c. 2. et 3. Noodt lib. 2. Probab. c. 5. et lib. 3. c. 3.

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