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Leggi Romane. 49

hanno altresì per molti altri capi grandemente biasimate. Egli v’ha ancora de’ gran legali, i quali senza degnarle di lode veruna, le hanno per tutti i versi sommamente vituperate. Ma sia però comunque esser si voglia, voglionsi condonare le lodi con moderazione, e con giudizio date alle Leggi di Giustiniano, e voglionsi queste condonare massimamente a que’ valentuomini, che sanno farne il debito uso, che sanno distinguervi il buono via dal cattivo, il diritto via dal torto, ed il ragionevole via dal bizzarro. Voglionsi ancora condonare a certi professori di erudizione, i quali se ne servono per la critica, e per la storia, o che alcun altro somigliante profitto ne possono trarre. Voglionsi finalmente condonare a qualche maestruzzo di rettorica, il quale avendo tutto il tempo suo meschinamente speso in farsi una buona provvisione di scelte parole latine, e trovandosi digiuno d’altre materie, si ponga ad accozzare insieme una stentatamente pomposa orazione de Laudibus Legum Romanarum. Ma che certi dei nostri Signori Dottori, i quali non hanno mai aperto, se non che al più per accidente, i cartoni del Corpus Juris, ci vengan a farci delle Lezioni in difesa, e lode dì quelle Leggi, che neppur comprendono, questo non si potrà da uomo di senno tollerare giammai.

Che costoro lodino adunque, e magnifichino, quanto vogliono le Leggi Romane, io sarò all’opposto sempre di parere, che la massima parte de’ disordini, che nel foro introdotti si sono, e che tuttavia con incomodo, e pregiudizio grande delle società civili vi regnano,