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Leggi Romane. 47

niera colle Consuetudini, e colle Leggi d’ogni paese in particolare, cagionarono uno sconcerto, una confusione, ed una incertezza si fatta, che non si può sì facilmente comprendere, nè in un breve ragionamento spiegare. Dirò solo, che l’impossibilità di servirsi di quelle Leggi nella maggior parte de’ casi occorrenti, la gran difficoltà d’intenderle, la ripugnanza de’ costumi, e l’amore dell’equità da una parte, e l’ostinatezza di volerne pure fare uso in qualunque caso per diritto, e per traverso dall’altra parte, furon le principali cagioni d’uno sterminato, e, direi quasi, infinito numero di comenti, di decisioni, di consulti, e trattati in infinite cose tra di se contrarj, in molte altre ridicoli, capricciosi, assurdi, inetti, e ad innumerabili altre mancanze sottoposti, che da gran tempo in quà cotanto deturpano, infestano, ed imbrogliano la Disciplina Legale.

La sterminata copia di tanti libri Legali ha poi partorito un altro disordine ancora, cioè, che anche i Giuristi d’oggigiorno ordinariamente niente meglio intendono, e niente più fanno delle Leggi Romane, di quello che le intendessero, o ne sapessero i nostri rozzi antecessori. Anzi noi siamo in questo punto ancora di molto inferiori a quelli; poichè la maggior parte di noi altri trascura del tutto il testo delle Leggi, ed unicamente alla lettura di quegli zibaldoni si dà, che da’ nostri maggiori ci furono tramandati, di modo che pochissimi ci sono, i quali, non dirò alcuna particolare contezza abbiano delle Leggi, che professano, ma che solamente giunti siano a poterle inten-