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Leggi Romane. 45

principio del duodecimo secolo Irnerio cominciò a spiegare1 le Pandette, pochissimi erano allora nella nostra Europa coloro che capaci fossero d’intendere quel di oscure materie ripieno libro; e che neppure molti ve n’ebbe, i quali sì abili fossero di poter solamente combinare, e legger con franchezza le Leggi, essendo in quel tempo questo mestier del leggere speditamente, e senza errore, una impresa da poterne solamente i più valenti preti, e frati venire a capo.2 Laonde gran maraviglia era in que’ tempi d’ignoranza, se alcuni pochi si trovavano, che tanto sapessero di latino, quanto bisognava per intendere le parole delle Leggi, nella qual cosa stessa però, quanto male non di rado riuscissero, ce ne fanno scorti le opere, che, ci rimangono, de’ più solenni Giureconsulti d’allora. Ma il conoscere poi lo spirito della Legge, l’intendere su che principj fosse fondata, il saperne la storia, il comprenderne l’analogia, il riconoscerne il fine, e l’avere altre notizie tali, che proprie sono d’un vero giurista, sono cose, onde costoro, che pur si facevano chiamare Lumi chiarissimi, Aurei specchi, e Lucerne lucidissime della Giurisprudenza, erano non tanto per loro negligenza, quanto per la rozzezza, e barbarie di que’ tempi interamente sforniti.

Essendosi adunque il mentovato Irnerio recato addosso questo grave impegno di spiegare

  1. Murator. Antiqq. Med. Æv. Dissert. 44.
  2. Idem ibi. Et Dissert. 22.

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