altrui, è scusabile, perchè non ha verun modo
di venire in cognizione, che l’Intelletto dell’altro
uomo sia più copioso di lumi, che il suo,
attesocchè la sua mente gli fa credere, ch’egli
stia così bene in capitale, come l’altro, che si
lusinga di averne di più, nè egli è obbligato
di prestare alla cieca fede a colui, che dica di
possedere una migliore maniera di Ragione.
Laonde se la Ragione ha da essere il giudice
delle azioni umane, la Legge da voi chiamata
naturale non può obbligare tutti nell’istesso
modo, perchè non tutti fanno colla propria
Ragione gl’istessi giudizj, tenendo bene spesso
un popolo per azione giusta quella, che l’altro
popolo riguarda per ingiusta, e venendo secondo
quello, che tanto voi, quanto altri mi
hanno narrato, riputate da certi dotti, e ragionevolissimi
uomini giuste quelle tali azioni,
che da altri pur sublimi ingegni vengono come
ingiuste biasimate. Dunque ben chiaro vedete,
che è uno sproposito il dire, che alla Ragione
tocchi di giudicare della giustizia delle
umane azioni, poichè da essa niente altro, che
una somma, ed universale confusione può nascere,
laddove l’Istinto essendo eguale in tutti,
in tutti produce l’istesso effetto. E però se
i primi principj della Legge naturale vengono
dallo Istinto, e le conseguenze sono parti della
Ragione, conserviamo i principj, e diamo
all’incontro il bando alle conseguenze: che cosi
facendo non correremo pericolo di errare noi,
nè di tirare altri nel nostro errore.
Se la Ragione è quella Maestra, che ci fa
distinguere il giusto dall’ingiusto, come avvie-