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36 della Legge

altro i Signori, altro i dotti, e che finalmente voi stessi siete da voi stessi discordi, poichè mi vien detto, che le vostre dottrine non s’accordano co’ vostri costumi. Il che tutto è di manifesto indizio, che la giustizia, ed ingiustizia di certe azioni dipende dal capriccio, ed all’opposto quella di certe altre non da altro fonte, che dall’Istinto deriva. Ora io ben veggo, che voi due, che siete destinati per miei maestri mi volete insegnare, come io mi accorgo, tanto la giustizia naturale, che la capricciosa, e che l’istesso nome volete dare a questa, che a quella, anzi l’istessa forza, e l’istesso effetto le volete attribuire: il che io non posso assolutamente per nissun conto soffrire: nè mai permetterò, sin tanto che la mente naturale mi regga, che voi possiate gabbarmi a posta vostra, e che io abbia ad essere infinocchiato, ed ingannato da voi.

Io ho bensì dai vostri discorsi ricavato, che voi da que’ principi, che sono certi, e che sono nell’istessa natura fondati, e come tali vengono riconosciuti in ogni luogo da ogni nazione, pretendete di tirare coll’aiuto della Ragione, ed a forza di raziocinj delle conseguenze, alle quali voi andate attribuendo la medesima certezza, che ai principj, onde sono dedotte. Ma in ciò o voi siete dalla vestra scuola ingannati, oppur volete a posta fatta ingannare il vostro discepolo, poichè una gran differenza vi passa tra i principj, e le consequenze, che ne cavate. Imperciocchè i principj vengono dallo Istinto, e le conseguenze dalla Ragione. L’Istinto è il medesimo

in tutto l’uman genere de’ passati, de’


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