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LE LEGGI ROMANE. 147

vole, perchè rarissimi sono que' Legali, che sappiano, non essendo quella lingua, che comunemente adoperano, latina, ma un miscuglio di molte barbare lingue del tempo dei Goti, e Langobardi. E cessi Iddio, che un Giurista pratico si cacci in testa di voler scrivere un bello, e terso latino; perchè non sapendo costui altro, che quelle miserabili frasi, che si ha bevuto nelle scuole, dove i maestri non sanno per lo più neppur essi cica di latino, egli cercherà ad ogni tratto di radunarsele tutte, e d’infilzarne, quante mai può, in ogni periodo, sicchè il suo stile lungi dall' essere semplice, terso, liscio, puro, riuscirà un miscuglio di parole mezze barbare, e mezze latine, e di espressioni affettate, stentate, ricercate, e tali in somma, che rechino nausea, e fastidio agli stessi ignoranti, non che a dotti, e colti Soggetti. Laonde farebbe meglio ognuno a scrivere nella sua lingua materna, benchè la maggior parte de’ Tedeschi, e degli Italiani non sanno neppure scrivere nella propria loro nativa favella, il che è proprio un vitupero, ed una cosa affatto intollerabile. Fatta che si abbia per questa maniera la pratica Legale puossi con sicurezza di ben riuscire passare a far Consulti, e Decisioni. Dove solamente conviene avvertire di non si lasciar strascinare dall' autorità altrui: poiché alla ragione tocca da decidere del diritto, e del torto, e non già ad un qualche scimunito Dottore. Se si tratta di far vedere, che l’opinione sia comune, e dai più accreditati Giuristi ricevuta, facciasi col nome di Dio qualche uso anche dell’autorità.


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