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144 DELLA MANIERA DI TRATTARE

rit, quin secundum illas jura etiam Statutaria debeant explicari, earamque ope verus illorum sensus eruatur. Ex quo porro consequitur, ut insulsa sit regula, quam generatim commendant, Statuta stricte esse interpretanda, adeoque prorsus ex Ictorum scholis exterminanda. Hanc quidem regulam Leguleji, et formulari Icti cum vulgari Doctorum herba non sine strepitu decantant, etiamsi ratione prorsus destituatur. E più sotto. Æque absurdum est axioma, Statutum numquam in dubio pro correctorio habendum esse, quoniam omnis correctio odiosa sit.... Falsum quoque est, jura correctoria stricte esse interpretanda, siquidem lex correctoria æque apta est ad recipiendam correctionem laxam, ac strictam, uti observat Gottlob Gerhard Titius Obser. ad Lauterb. p. 312. Io conosco diversi Giureconsulti pratici, i quali mossi dalla forza di queste ragioni hanno ingenuamente confessato, essere falsa, e doversi da tutti tenere per tale, quella regola, che insegna, doversi interpretare gli Statuti strettamente, e per modo, che il meno, che sia possibile, alle Leggi comuni deroghino. Tuttavia gli ho io veduti consultare, e giudicare sul fatto tutto all’opposto. E però debbo credere, che l’abbiano fatto, perchè allora così tornasse loro il conto: o se un’altra volta il loro interesse avesse richiesto, che tenessero la regola ora insegnata da me, non vi è dubbio, che così parimente avrebbero fatto. Questa è presso i Legali una già antica costumanza, che l'Arcivescovo Incmaro ha già rimproverata anche ai Giudici del suo tempo, scrivendo egli al capo 15. del suo trattato de Potestate Regia così: Quando sperant aliquid lucri


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