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DELLA MANIERA DI TRATTARE |
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rit, quin secundum illas jura etiam Statutaria
debeant explicari, earamque ope verus illorum sensus
eruatur. Ex quo porro consequitur, ut insulsa sit
regula, quam generatim commendant, Statuta stricte
esse interpretanda, adeoque prorsus ex Ictorum
scholis exterminanda. Hanc quidem regulam
Leguleji, et formulari Icti cum vulgari Doctorum
herba non sine strepitu decantant, etiamsi ratione
prorsus destituatur. E più sotto. Æque absurdum est
axioma, Statutum numquam in dubio pro correctorio
habendum esse, quoniam omnis correctio
odiosa sit.... Falsum quoque est, jura correctoria
stricte esse interpretanda, siquidem lex correctoria æque
apta est ad recipiendam correctionem laxam, ac strictam,
uti observat Gottlob Gerhard Titius Obser.
ad Lauterb. p. 312. Io conosco diversi Giureconsulti
pratici, i quali mossi dalla forza di queste
ragioni hanno ingenuamente confessato, essere
falsa, e doversi da tutti tenere per tale, quella
regola, che insegna, doversi interpretare gli Statuti
strettamente, e per modo, che il meno, che sia
possibile, alle Leggi comuni deroghino. Tuttavia gli
ho io veduti consultare, e giudicare sul fatto tutto
all’opposto. E però debbo credere, che
l’abbiano fatto, perchè allora così tornasse loro il
conto: o se un’altra volta il loro interesse avesse
richiesto, che tenessero la regola ora insegnata da
me, non vi è dubbio, che così parimente avrebbero
fatto. Questa è presso i Legali una già antica
costumanza, che l'Arcivescovo Incmaro ha
già rimproverata anche ai Giudici del suo tempo,
scrivendo egli al capo 15. del suo trattato de
Potestate Regia così: Quando sperant aliquid lucri