loni in un gruppo! Deh tralasciate queste Dottrine
inette, incoerenti, e nemiche della retta
ragione.
Le Leggi Romane non hanno forza di Leggi,
finchè gli Statuti, e le consuetudini della patria
ci sono. E però non hassi da considerare gli
Statuti, e le Leggi comuni come cose opposte,
che convenga nel più possibile modo conciliare:
ma deesi pensare, che fintantochè gli Statuti parlano
o colle parole, o colla maggioranza, oppur
colla identità della ragione, le Leggi comuni sempre
tacciono, sempre son mutole, nè mai vogliono
essere per alcuna maniera ascoltate. I Tedeschi,
che ordinariamente con più giudizio, e con
maggiore sodezza, che non è solita buona parte
di noi altri Italiani, trattano lo studio della
Giurisprudenza, passano meco in questo punto
interamente d'accordo. Vegga, chi ha voglia,
quello che sopra di ciò dicono lo Schiltero, lo
Skykio, il Boehmero, Leyfero, e tanti altri nei
titoli de Legibus, et de Principum Constitutionibus.
Io però mi contenterò di citare le parole di Cristiano
Enrico Eckard, il quale al lib. 2. c. I. §. 28.
della sua Arte Ermeneutica a questo proposito
nella seguente maniera si esprime. Recte denique
quartum axioma postulat, ut Statutorum æque, ac
Legum Provincialium interpretatio secundum legitimas
Hermeneuticæ regulas instituatur. Statuta
enim sunt Leges, et quodcumque Legis vim habet,
illud si dubium, si ambiguum, si obscurum est,
interpretationem desiderat, absque qua nullus foret
Legis usus in Republica. Et quum Hermeneutica
veras interpretandi regulas tradat; nemo dubitave-