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DELLA MANIERA DI TRATTARE |
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gi Romane allora solamente hanno vigore, e
forza, quando nè lo Statuto, nè il coftume della
patria alcuna cosa dispone. I Principi, ed i Popoli
non erano, e non sono tenuti di ricevere ne’
loro Tribunali le Leggi Romane; e dipende però
dal loro puro arbitrio, se vogliano trattenerle,
o dare ad esse l’esilio. Sicchè l’introduzione, e
la conservazione delle Leggi di Giustiniano non
deve, ne può per alcun verso pregiudicare agli
Statuti, ed a’ costumi della patria. La preferenza
è dovuta a questi: e solamente quando essi
tacciono, possono parlare le Leggi Romane, le
quali unicamente per supplire laddove gli Statuti, e
le consuetudini mancano, sono state introdotte.
Da questo risulta, che una manifesta assurdità si
è quella di dire, che gli Statuti vanno
interpretati strettissimamente, che tutto quello, che nel-
lo Statuto non si trova espressamente deciso,
debbasi giusta la Legge comune, e non secondo lo
Statuto giudicare, che non convenga fare
estensione da caso, a caso, e da persona a persona,
benchè la medesima ragione proceda, e benchè
ancora per il caso non compreso una ragion
maggiore vi fosse. I barbari legali costumano di
esprimere questa loro dottrina con un bel detto
alla lor moda, cioè che Statuta non pariunt sicuti mulæ.
Ma questo, e simili altri lor proverbj
contengono un evidente errore; imperciochè gli
Statuti, e le consuetudini sono le prime Leggi,
e queste debbonsi avanti ogni altra rispettare, ed
in pratica seguitare: le Leggi Romane non
sono, che di sussidio, e servono di supplemento in
mancanza delle prime. Ora ella cosa, e