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LE LEGGI ROMANE. 121

in quella guisa, che conviene, si danno. Or quelli ordinariamente sono gli animali più cattivi, e perniciosi, che vengano a rovinare il gran campo della Giurisprudenza. E perchè più agevolmente comprendasi, come ciò avvenga, è pregio dell’opera il vedere, come un pratico Giurisperito comunemente si faccia. Ma quì si conviene di avvertire, che io non intendo già di rappresentare un pratico, che insieme colla pratica una buona teoria ami d' accoppiare, la qual sorta di Legali è rarissima di modo, che appena se ne trovano: la mia intenzione si è adunque solamente di descrivere uno di questi pratici, che alla giornata si fanno, e di cui è pieno il mondo. Un tale pertanto si va facendo per questo modo. Costui viene dalle scuole basse, dove ha imparato un latino gotico, longobardico, o che certamente è tutto altro, che latino. Lo stile suo, se pur sa mettere i suoi pensieri in carta, ha del goffo, dell’inetto, dell’incoerente, e vi si trova molto di tutto quello, che ne’ differenti stili vi può essere di male. Il gusto suo è depravato, o dirò meglio, non gli è mai stato verun buon gusto ispirato. Se Iddio gli ha datto dello spirito, e del talento, i suoi maestri lo hanno reso disputatore insolente, amante di sottigliezze, di cavilli, d’imbrogli, rintracciatore di tutte le cose inutili, sprezzatore di tutto il bello, e buono: se poi non ha talento, oltre l'essere barbaro, egli è anche uno stupido, un cavolo, un’oca, che di niente si cura che non viene commosso nè dall’immagine del buono, nè da quella del cattivo, ed a cui negli studj tutto è uguale, tutto indifferente, tutto l’istesso, purchè abbia impiegato quel deter-


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