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DELLA MANIERA DI TRATTARE |
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gi, che nel Corpus Juris del sudetto Imperadore
si ritrovano. Io non dico già, che una esatta,
profonda, ed estesa cognizione delle antichità, e
e della Storia Romana sia ad un Giureconsulto
necessaria; ma che soltanto quella parte di esse
antichità sapere da ognuno si debba, senza la
quale impossibile cosa è il poter giugner ad intendere
le leggi, di conoscere lo spirito, e di penetrare
fino al midollo della Giurisprudenza Romana.
Quindi quel tempo, e neppur tutto quel
tempo, che i cattivi maestri impiegano a spiegare,
e gl’infelici scolari adoperano ad imparare
inezie, puerilità, e mille cose barbare, potrebbe
sì dagli uni, come dagli altri venire collocato
nello studio della storia, e delle antichità. Girolamo
Aleandro racconta di se stesso nella prefazione
alle Istituzioni di Cajo, che Libellus Institutionum
Justiniani unicuique per se facilis, qui in
bonis auctoribus evolendis aliquot dies consumserit,
salebrosus mirum in modum videbatur, ac nullam
aliam ob caussam, quam propter multiloqua indoctorum
doctorum commentaria; (neque enim, quæ
optima essent, adhuc quisquam patefecerat:) quod
quum ego tunc temporis non intelligerem, putabam
me rudi nimis ingenio natum, ac ita paullatim studiorum
meorum spe destituebar. Demum jam fere elapso
hoc in errore triennio, nebulam mihi bonus genius
dissolvit, ut statim perspicerem, eum Romanam
Juris prudentiam posse tenere, qui Romanos
mores, et instituta teneret. Quamobrem pauculos
menses in veterum auctorum, quos potui, ac novorum
quoque, qui isthæc docerent, lectione impendi,
et id quidem raptim, et currente oculo, ne que.
madmodum olim Phrygiluo, postea mihi objiceretur,