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118 DELLA MANIERA DI TRATTARE

gi, che nel Corpus Juris del sudetto Imperadore si ritrovano. Io non dico già, che una esatta, profonda, ed estesa cognizione delle antichità, e e della Storia Romana sia ad un Giureconsulto necessaria; ma che soltanto quella parte di esse antichità sapere da ognuno si debba, senza la quale impossibile cosa è il poter giugner ad intendere le leggi, di conoscere lo spirito, e di penetrare fino al midollo della Giurisprudenza Romana. Quindi quel tempo, e neppur tutto quel tempo, che i cattivi maestri impiegano a spiegare, e gl’infelici scolari adoperano ad imparare inezie, puerilità, e mille cose barbare, potrebbe sì dagli uni, come dagli altri venire collocato nello studio della storia, e delle antichità. Girolamo Aleandro racconta di se stesso nella prefazione alle Istituzioni di Cajo, che Libellus Institutionum Justiniani unicuique per se facilis, qui in bonis auctoribus evolendis aliquot dies consumserit, salebrosus mirum in modum videbatur, ac nullam aliam ob caussam, quam propter multiloqua indoctorum doctorum commentaria; (neque enim, quæ optima essent, adhuc quisquam patefecerat:) quod quum ego tunc temporis non intelligerem, putabam me rudi nimis ingenio natum, ac ita paullatim studiorum meorum spe destituebar. Demum jam fere elapso hoc in errore triennio, nebulam mihi bonus genius dissolvit, ut statim perspicerem, eum Romanam Juris prudentiam posse tenere, qui Romanos mores, et instituta teneret. Quamobrem pauculos menses in veterum auctorum, quos potui, ac novorum quoque, qui isthæc docerent, lectione impendi, et id quidem raptim, et currente oculo, ne que. madmodum olim Phrygiluo, postea mihi objiceretur,


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