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LE LEGGI ROMANE. 113

ti vizj, onde sono infette le Leggi Romane, impediscono, che non se ne possa ne' nostri fori quell' uso fare, che si converrebbe, e che inoltre la necessità ha messo in dovere gl’interpreti, ed i Giureconsulti d’introdurre colle loro ora buone, ed ora sciocche interpretazioni, estensioni, e limitazioni un’altra parte di Giurisprudenza, che troppo più vasta, e più ampia è di quella, che nella sola, ed immediata cognizione delle Leggi consiste; così ne seguita, che la maggiore, e più sostanzial parte di un vero Giurista dallo studio della pratica principalmente si formi. Laonde possiamo con ogni sicurezza conchiudere, che ben miseri legali sono coloro, i quali al solo studio delle Leggi Romane si danno, e propriamente Teorici s’appellano. Costoro in due classi si possono acconciamente dividere; l'una delle quali comprende i Teorici critici, ed eruditi, e l’altra contiene quelli, che d'ogni erudizione, di ogni letteratura, e di ogni altra cognizione sforniti all’interpretazione delle Leggi si danno, i quali brevemente Teorici barbari chiamare si debbono. I primi vanno in traccia de' testi scorretti, troncati, giuntati, o per altra maniera depravati. Essi cavano fuori le contrarietà delle Leggi, e trovano i modi di conciliarle, oppur le dichiarano irreconciliabili: Essi spargono il lume laddove in qualche testo regnan le tenebre: Essi danno la storia di quelle leggi, che senza tale cognizione riuscirebbono oscure: Essi raccontano l’origine, ed il progresso di certe leggi, rapportano la mente, ed il fine del Legislatore nello stabilimento di quelle, e fanno con ciò sapere fin dove si pos-


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