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- His ego nec metas rerum, nec tempora pono.
- Item cum de Fratre Quintillo, quem consortem volebat imperii, responsum est
- Ostendet terris hunc tantum fata.
Ecco le risposte, che danno gl'impostori, ed ecco la stoltezza de' gentili, che le credettero. Flavio Vopisco1 parlando de' due denti di Elefanti di una portentosa grandezza posseduti da Firmo, co' quali Aureliano pensava di fare una sede alla statua di Giove da collocarsi nel tempio del Sole di Roma, dice, che ivi si erano trasportate le Sorti Apennine. Secondo Valerio, e Suetonio le sorti altro non erano, che gli oracoli, o le risposte, che gli Dei, o i Sacerdoti davano a coloro, che li consultavano. Ma Carino altro Imperadore, a cui premeva di far dormire splendidamente la sua Druda, a lei li donò, onde ci facesse un bel letto. Ipse quoque dicitur habuisse duos dente Elephanti pedum denum, e quibus Aurelianus ipse sellam constituerat facere addictis aliis duobus, in qua Iupiter aureus, et gemmatus sederet cum praetexta ponendus in templus Solis, APENINIS SORTIBVS addictis, quem appellari voluerat Iovem Consulem, vel Consulentem. Sed eosdem dentes postea Carinus mulieri cuidam dono dedit, quae lectum ex iis fecisse narratur. Et quia nunc scitur, et sciri apud posteros nihil proderit, taceo.
La Tavola Peutingeriana dopo Iovis Pennini, soggiunge idest Augubio, perchè era situato nel territorio di Gubbio, e questa città rimaneva lontana dal tempio sette miglia. Imperocchè l'antico Gubbio non esisteva ove è presentemente, ma torreggiava in quella pianura, che rimane fra la presente città, ed i ruderi dell'antico teatro presso il torrente Camignano, e così dimostrano il Cluverio, ed il Sarti2 . Giacendo dunque più a basso, e più prossima al fiume doveva certamente risentire l'incommodo delle umide nebbie, e ciò rimarca Silio Italico3 come cosa particolare di tale città.
- ↑ In Firmo.
- ↑ De Ep. Eugub. p. XIV
- ↑ Lib. 8.