Queste parole non si trovano negli autori latini, ma in moltissime lapidi riportate dal Grutero, dal Marini nè Frati Arvali, e dagli altri scrittori, le quali c’insegnano, che ancor le donne lo ricevevano. Erano questi certi sacrificj, che si facevano nella seguente maniera. Scavata una fossa profonda venti piedi si copriva al di sopra con tavole traforate, e dentro vestito da Sacerdote vi entrava colui, o colei, che voleva consagrarsi. Vi sì conduceva un Toro colla fronte dorata, e vi si scannava da’ Flamini. Il sangue, che entrava pe’ forami, avidamente era ricevuto da colui, o da colei, che entro stava, e che credeva esser mondata da tutti i peccati, ed incapace di più commetterli almeno per venti anni, prima del qual tempo non potevasi ripetere quell’immonda cerimonia. Finito il sacrificio aveva le congratulazioni pubbliche, e si teneva in venerazione come un nume. Prudenzio egregiamente descrive tal sacrificio nel supplicio di S. Romano.
Summus Sacerdos nempe sub terram scrobe
Acta in profundum consecrandus mergitur,
Mire infulatus, festa vittis tempora
Nectens, corona tum repexus aurea
Cinctu gabino sericam fultus togam.
Tabulis superne starta textunt pulpita,
Rimosa rari paegmatis compagibus
Scindunt subinde vel terebrant aream,
Crebroque lignum perforant acumine,
Pateat minutis ut frequens hiatibus
Huc taurus ingens fronte torva, et hispida,
Sertis revinctus, aut per armos floreis,
Aut impeditus cornibus deducitur:
Necnon et auro frons coruscat hostiae,
Setasque fulgor bractealis inficit.
Hic ut statuta est immolanda bellua,
Pectus sacrato dividunt venabulo,
Eructat amplum vulnus undam sanguinis
Ferventis: inque texta pontis subditi
Fundit vaporum flumen, et late aestuat
Tum per frequentes mille rimarum vias
Illapsus imber, tabidum vorem pluit,
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