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62 | capitolo secondo. |
sando con voce rotta dallo sforzo di strapparsi dall’anima cose tanto compresse nell’interno di lei. Don Giuseppe lo ascoltava triste, senza guardarlo, con l’aria rassegnata di uno che non si meraviglia più, che sa di aver ad ascoltare la solita, eterna, uniforme storia. Piero proseguì:
“Il fervore ascetico durò poco. Qui devo anche dire che non sotto il colpo della mia sventura ma più tardi, quando il dolore diminuiva, proprio quando mi davo più che mai alle pratiche religiose, cominciarono a venirmi dei pensieri strani, novissimi per me, dei dubbi circa la fede, fulminei, che mi scuotevano e che io cacciavo restandone tutto tremante. Una sera la cameriera di mia suocera, giovane, graziosa, venne da me con un pretesto. Mi contenni, il mio viso, le mie parole furono di ghiaccio ed ella se ne andò, ma vi ebbe poi un momento in cui mi domandai perchè se Dio voleva proprio un simile tormento delle sue creature non le aiutasse di più! Perchè mi facesse incontrare quella signora nel treno e quella ragazza in casa di mia suocera! Mi venivano impeti di ribellione, una domanda insistente, acre mi martellava il cervello: e se Dio non ci fosse? E se Dio non ci fosse? Se tutta la mia fede fosse un tessuto d’illusioni? Se io fossi uno schiavo di pregiudizi altrui, d’idee cacciatemi nella testa quando non po-