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56 capitolo secondo.

teatro da un amico di casa. Io avevo sempre combattimenti interni, ma duravo fermo nel mio proposito. Studiavo il latino e il greco assai volentieri ed ero contento che il mio tutore non mi facesse seguire un corso regolare di studii perchè prima ancora di pensare a farmi frate, quando mi avevano detto che gli studii regolari potevano solamente condurmi a diventare avvocato, o impiegato, o medico, o ingegnere, o professore, n’ero rimasto sorpreso e afflitto. Non mi sentivo nato ad alcuna di queste vie, avevo creduto che nel mondo ve ne fosse un’altra buona per me, mi accoravo del mio inganno come di non saper decifrare in me stesso i desiderii che mi rendevano inquieto. L’idea di farmi religioso mi parve una rivelazione, mi diede un benessere profondo, per qualche tempo; vorrei dire fino ai sedici anni. A sedici anni un certo senso di diventar diverso io e di veder diverse tutte le cose, certi sguardi, nuovi, di donne, certe rivelazioni del mondo e della vita mi sconvolsero l’anima. Però nelle mie agitazioni indicibili di quel tempo, anche nei momenti in cui abborrivo dalla vita religiosa, l’idea di renderla impossibile col matrimonio m’inspirava un’inesplicabile terrore; proprio terrore. Intanto mi tenevo attaccato a tutte le esteriorità religiose, alla Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli, al Circolo della gioventù cattolica, per