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nel monastero. | 47 |
villa deserta, del poggio, dei bassi prati dove nel gran silenzio del mezzogiorno gurgugliavan tacchini, schiamazzavano anitre e oche, delle folte macchie di alberi esotici e nostrali che lì salivano i valloncelli e i dorsi del poggio fino al ciglio degli alti vigneti.
Don Giuseppe scendeva passo passo, leggendo, non curando le rade, fini goccioline di pioggia. Quando alzò gli occhi dal libro, Maironi salutò accelerando il passo. Sulle prime il vecchio prete non lo riconobbe; poi mise un oh! lieto, scese con vivacità giovanile, a braccia aperte, il cappello in una mano e il libro nell’altra, tutto lucente in viso di sorpresa e di piacere. Era un nobile viso dove le linee maschie delle ossa inferiori e il grande arco del naso compievano degnamente, per così dire, l’alta parola della fronte ampia, solenne; e gli occhi scuri, vivi, dolci austeramente, pronti a colorarsi di ogni baleno, di ogni fiamma, di ogni ombra dello spirito, dicevano la calda purezza interna, la soavità recondita di quella parola così maestosa. Ora scintillavano veramente perchè don Giuseppe aveva conosciuto in Valsolda prima del 1859, standovi ospite di certi suoi parenti, Franco e Luisa Maironi, i genitori di Piero; e godeva sempre di veder Piero che gli ricordava quelle elette creature, quel poetico lago romito e i giorni suoi più sereni. S’in-