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448 | capitolo ottavo. |
pora, le ombre di un immaginato avvenire, solenne e tragico, avvolsero i seduti. Don Giuseppe venne ripensando e comparando certe parole dettegli da Piero subito dopo la visione, certe parole del colloquio presente. A quale missione nella Chiesa di Dio poteva essere chiamato quel giovine? Gli sorgevano nella mente profonda tante supposizioni diverse, vi si levavano tanti dubbiosi desideri antichi circa una riforma cattolica della Chiesa, non espressi mai chiaramente ad alcuno, forse neppure chiaramente concepiti, anche per impedimenti di ossequio e di umiltà. Uno stormir fischiante corse per la costa, uno strepito per le rive, una veloce ombra nera sul lago, cui l’alto fragore del pino rispose; e in pari tempo uscì la luna curiosa, irradiando le nevi degli oleandri in fiore, fogliami e rose, la ghiaia dei viali, l’alto fianco della chiesa, il rustico campanile imminente all’orto. Nel pensiero profondo di don Giuseppe, disposto alle intime comunioni con la natura come alle intime comunioni con Dio, il dramma del vento, della luna e delle onde, il dramma di quell’anima, prima oscurata dalle passioni, ora misteriosamente illuminata dallo Spirito, si confondevano, si compenetravano in uno solo.
Qualcuno entrò nell’orto. Il custode veniva a dire che le chiavi del camposanto, richieste dal signor