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lo avrebbero aiutato a istituire una specie di Cooperativa di produzione agraria, capace di estendersi e aperta, entro certi limiti, ai volonterosi, nella quale la terra, considerata come uno strumento di produzione, finirebbe col diventare proprietà sociale e le norme statutarie avrebbero un carattere cristiano, cosicchè il fine cristiano dell’associazione compenetrerebbe in sè, dominandolo, il fine economico. Se l’esperimento non venisse approvato dai consiglieri di don Giuseppe o non riuscisse, la sostanza mobile e stabile verrebbe divisa in lotti, che si assegnerebbero prima in usufrutto e, dopo un certo periodo di prova, in proprietà, a famiglie scelte di contadini. Quest’ultima disposizione era stata suggerita da don Giuseppe che solamente così si era indotto ad accettare la cessione e l’incarico di un esperimento nel quale non aveva fiducia. Se Piero non lo aveva ben fatto persuaso della opportunità di creare un tipo di associazione aperta dentro i limiti del possibile dove il capitale sociale fosse essenzialmente la terra, lo aveva però fatto persuaso col tranquillo vigore del ragionare e con la gravità del contegno, che l’intelletto suo era ben solido e fermo. Gliene aveva dimostrato l’acume sereno anche con lo scrupolo espressogli che questo suo disporre dei beni ceduti per date opere fosse un trattenerne indebitamente la proprietà ideale;