Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
432 | capitolo settimo. |
pretando quell’esitare appunto come un dubbio circa il carattere delle sue visioni, della sua vocazione.
“Ma se non son buono a nulla! Se non ho nè attività, nè testa, nè...„
Don Giuseppe s’interruppe. La mano del Signore pareva essere su quel giovane, adesso. Poteva il più guasto, il più misero strumento dire a una tal Mano: “Con me tu non farai niente’?„ Le sue proteste finirono in un borbottamento di parole rotte come la sua resistenza. Intanto nè lui nè Piero si erano accorti di un reiterato bussare. La persona che bussava, non ottenendo ascolto, aperse l’uscio. I due si alzarono in piedi; entrava la marchesa, curva e nera, col cappello in testa, col velo calato. Come? Adesso, partiva? Sì, avevano pensato, suo marito e lei, per tante ragioni, di rinunciare alla ferrovia, di prendere una carrozza. Si poteva così partire subito, arrivare a casa prima del sole. Detto questo con voce grave, ma tranquilla, sedette e tacque, ansando. Don Giuseppe sentì che la sua presenza in quel momento non era opportuna, uscì silenziosamente.
Piero s’inginocchiò ai piedi della suocera, le prese una mano, se la strinse sulla bocca, ed ella gli posò sul capo, ansando un po’ più di prima, l’altra mano, il muto suo perdono, la sua muta benedi-