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428 | capitolo settimo. |
sogno di lui. Domanda se si debba trattenere. Si trema, si evita di guardarsi, non si risponde. Quegli si ritira senza richiamo nè saluto ed è il Direttore che gli dice di restare, di aspettare all’albergo. Suonano le sei. Coloro che sanno, pensano:
"Forse un’ora, forse due, forse tre ancora, non più„.
Il Direttore insiste perchè la famiglia e don Giuseppe prendano qualche cibo ch’egli ha fatto preparar loro nel suo proprio quartiere. Don Giuseppe e il marchese si fanno portar qualche cosa nel salottino; Piero e la marchesa non si muovono dalla camera. Suonano le sette. Forse due ore ancora.
Per le finestre spalancate si vedono spegnersi nel settentrione ad una ad una le cime accese delle montagne, salire l’ombra. Le campane della chiesetta vicina, della città lontana, suonano l’Ave Maria della sera e posano. Stelle, stelle, stelle si accendono in oriente. La campana della chiesetta ricomincia a suonare, suona ad agonia.
Sono le otto e cinquanta minuti. Don Giuseppe recita ad alta voce le preghiere per i moribondi, accosta e riaccosta il crocifisso alle labbra smorte della travagliata che non ode, non vede più, tutti della famiglia e suor Eletta pregano ginocchioni, l’angelo di Dio entra. Si fa un silenzio sepolcrale, è