cate di tenebrosi disegni per il bene di questa o di quella persona in qualche caso futuro e incerto, simpatie e antipatie non confessate mai, giudizi sugli uomini e sulle cose tenuti occulti ma inflessibili e duri come il bronzo, idee parte diritte, parte storte che davano qualche rara volta, nei colloqui più intimi, parole impensate, ben diverse da quei comuni ferravecchi di cui teneva un magazzino in bocca. Ella era, del resto, imbronciata quella sera; e il marchese Zaneto, con la sua coscienza tutta intrisa dell’uovo illegittimo preso per distrazione in cucina, colse il tempo in cui gli altri, infervorati nella disputa per i nasi Dessalle, non badavano a loro, si accostò alla sua sposa, si mise a farle delle moine contrite che la seccarono. “Va là! Lasciami stare!„ diss’ella brusca. “Non far sciocchezze!„ Il pover’uomo si voltò mogio mogio a don Serafino che stava rimbeccando un interruttore. “Abramo? Cossa vienlo fora con Abramo questo qua, adesso?„ “Sì„, rispondeva colui: “Abramo e Rebecca, no, e Sara, cossa xela!„ Poichè i Dessalle si erano fatti conoscere come fratello e sorella, s’insinuava benignamente che qualche Faraone avrebbe forse potuto dire una cosa diversa. Più voci protestarono. I Dessalle erano conosciutissimi a Roma e a Venezia come fratelli, orfani di un ricchissimo banchiere di Marsiglia e di una Guglielmucci romana. Don Sera-