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in luminae vitae. | 407 |
mostrare la sua commozione vera; ne vergognava quasi come d’una ipocrisia. Il professore non intendeva ripartire prima di sera. In città si era subito saputo della sua venuta e tre o quattro richieste di consulti erano arrivate allo Stabilimento prima di lui. Piero desiderava che ritornasse da sua moglie, e uscì con esso dal salotto per dirglielo fuori, da solo a solo, con tutto quel fuoco d’affanno che sentiva in sè, che non avrebbe voluto mostrare agli altri. E lo supplicò di aprirgli la verità intera. Il professore l’aveva detta, non poteva che confermare le sue parole precedenti. “Speriamo, speriamo„, diss’egli. “Vedo che lo meritano tanto tutti e due, poveretti„. Piero strinse e scosse le mani, senza parlare, a quell’uomo buono che sempre più si persuase del proprio intuito, della diagnosi morale improvvisata così sui due piedi.
Verso le quattro del pomeriggio l’inferma dormiva, vegliata da sua madre. Nel salottino don Giuseppe stava leggendo il breviario e Zaneto, molto confortato, parlava sottovoce a Piero, rimescolava certi suoi vecchi ricordi del luogo, d’una sua zia che vi era stata curata in gioventù. Egli mise poi il discorso sull’asilo campestre che sua moglie era venuta disponendo per la figliuola, sulla opportunità di passarvi l’autunno, sul soggiorno da scegliere per l’inverno. Quando ebbe sparse tutte